Gramsci

Gramsci

mercoledì 22 ottobre 2014

Articolo 18 e dintorni.

 
 
Pubblichiamo ampi stralci dell'articolo del compagno Giuliano Cappellini (Direzione Provinciale PdCI Lodi) pubblicata su "Gramsci Oggi" che ringraziamo calorosamente.
 
PdCI Lodi
 
A quali condizioni del lavoro si riferiscono le riforme di Renzi?
Se nel nostro paese gli imprenditori si fossero conformati da molto tempo ad una prassi di rispetto della dignità del lavoratore e, dunque, non usassero l’arbitrio nei licenziamenti individuali, si potrebbe pensare che l’articolo 18 è una norma obsoleta che potrebbe essere cancellata, non foss’altro che per rispetto ad una categoria (gli imprenditori) di cittadini coscienziosi. Ma la realtà è un’altra ed il degrado raggiunto nei rapporti reali di lavoro dovrebbe essere ormai monitorato da un’apposita indagine conoscitiva parlamentare, sia perché l’ultima si riferisce alle condizioni del lavoro subordinato di circa 50 anni fa, sia perché senza un’indagine conoscitiva, la riforma Renzi che cancella l’art. 18 sembra rispondere solo ad una paranoia ideologica.  
 

La liquidazione delle tutele dello Statuto dei Lavoratori non umilia solo gli operai e gli impiegati, ma crea una situazione pesante anche per la forza lavoro intellettuale e manageriale di più alto grado. Per non parlare dei laureati impiegati nei call center, conosciamo casi di valenti giovani manager dai quali dipendono letteralmente le sorti di piccole-medie aziende industriali pagati con stipendi di 1500 euro al mese (gli imprenditori, invece fanno la raccolta di automobili di lusso…) e di aziende che intendono promuovere i loro prodotti in Estremo Oriente ma che fanno pagare di tasca propria ai giovani laureati i viaggi nei paesi dove si devono recare. (.....)
 
Sacrifici per superare la recessione economica o per sempre?
Ma, si dice, bisogna prendere atto delle condizioni economiche in cui si trova il paese dentro una recessione economica e si deve accettare il fatto che, per superare queste contingenze, i lavoratori devono necessariamente subire una pressione incredibile fino a qualche decennio fa. E si dice anche che col sacrificio delle tutele, peraltro non generalizzate, dei lavoratori e con la repressione sindacale sarà possibile attirare in Italia investimenti stranieri o invogliare investimenti autoctoni. Tesi questa, degna della demagogia di un millantatore come Renzi, che se vi fosse in essa una traccia di verità scientifica, le tutele del lavoro dovrebbero, al massimo, essere solo sospese come misura temporanea fintantoché non si fossero verificati gli obiettivi economici sperati, salvo ripristinarli, se l’evidenza mostrasse che tali obiettivi non si ottengono in questo modo. Scherzi del fanatismo ideologico, si preferisce invece cancellarle per sempre con “riforme” che ci riportano al medioevo. (....)
 
La sfida della caduta del saggio di profitto
Mette, però, il caso di ricordare che l’automazione dei processi di produzione ai quali, nella continua competizione economica, l’industria capitalista non può sottrarsi, è alla base del noto fenomeno della caduta del saggio di profitto, giacché se “libera” la produzione dalla forza lavoro umana per diminuire il valore di scambio delle merci, il profitto dipende pur sempre dalla quantità di lavoro non pagato ai lavoratori, ed è, quindi, destinato a decrescere quando il loro numero decresce. Il capitalismo contrasta  il fenomeno in diversi modi, generalmente non decisivi. Naturalmente si serve della stretta sui salari e sulle condizioni di sfruttamento del lavoro umano, ma tenta anche la strategia di più largo respiro centrata sull’intenzione di diminuire i suoi impegni sul versante delle produzioni di massa in cui più massiccio è stato il ricorso all’innovazione tecnologica e che, dunque, impiegano un numero calante di addetti per unità di prodotto. Nel più classico dei modi (cfr. “Salario prezzo e profitto”, Marx, 1865), spostando cioè, gli investimenti dalla produzione di merci “popolari” a quelli di qualità maggiore, se non del lusso. (....)
Come la borghesia riesce a superare la crisi?
Spostare gli investimenti verso l’industria dei consumi di lusso a scapito dei consumi di massa rimette in gioco non solo l’asse dello stato assistenziale o di quel che ne resta, ma anche la condizione di vita delle grandi masse che sono costrette a fruire di certe “comodità” per vivere e lavorare. L’automobile per esempio. Ma l’obiettivo potrebbe essere ancora più ambizioso tale cioè da colpire altri settori vitali. Se si cerca di rimettere in moto il profitto e questo richiede 1) di concentrarsi sulle produzioni di lusso e, 2) di ridurre l’occupazione per favorire la crescita di un esercito strutturale della manodopera di riserva per impedire ai salari degli occupati di aumentare, allora l’intervento deve essere a tutto campo e colpire a fondo anche i settori che magari hanno beneficiato della tecnologia per aumentare la qualità, l’agroalimentare e le sue industrie di trasformazione, ad esempio. Un modo, anche questo di distruggere una certa quantità di quelle forze produttive il cui sviluppo ad un certo punto si ritorce contro la società borghese. “Con quale mezzo, scrivevano Marx ed Engels nel Manifesto, riesce la borghesia a superare le crisi? Per un certo verso, distruggendo forzatamente una grande quantità di forze produttive …” (.....)
 USA- Cina
La sfida di fondo che gli USA lanciano alla Cina è quello di provare ad incrinare l’economia di un paese la cui risorsa principale è l’abbondanza di manodopera, non intensamente sfruttata in processi industriali a relativamente basso impiego di tecnologie. Questa condizione favorisce i profitti delle aziende private (anche straniere) e, soprattutto dello Stato cinese. Di contro il capitalismo monopolistico americano intende vincere la sfida procedendo ad una maggior automazione dei processi industriali, pur conscio dei pericoli cui va incontro il sistema economico (l’imperialismo americano, invece, si concentra sul controllo delle materie prime, delle fonti energetiche, nonché su quello finanziario e militare su scala globale, per creare ulteriori intoppi allo sviluppo economico della Cina). Fatto si è che la Cina non meccanizza l’agricoltura, anche per non incentivare la fuga dalle campagne, ciò nonostante l’agricoltura cinese copre alla grande il fabbisogno alimentare di 1,4 miliardi di cinesi!
 La ripresa della lotta
Il governo Renzi taglia le tasse alle imprese con un’ulteriore stretta sullo stato assistenziale al quale sottrae risorse in modo indiscriminato. Del grazioso regalo di un governo la cui forza principale è il PD, Confindustria ringrazia e, con i risparmi sulle tasse, il grande capitalismo conta di procedere ancora più celermente a quelle trasformazioni che abbiamo sopra delineato. Le riforme di Renzi non produrranno nessun nuovo posto di lavoro, e questo lo hanno capito tutti, ma non contrastano in alcun modo il disegno strategico di trasferire ogni risorsa nelle produzioni di lusso, per soddisfare il mercato dei ricchi. Tali riforme, incentivano, dunque, nel medio temine la disoccupazione e la formazione di un esercito della manodopera di riserva con inedite caratteristiche strutturali. Per la classe operaia la questione dell’articolo 18 non è solo una questione di difesa della dignità di lavoratori nei rapporti di lavoro, ma un indicatore dell’asprezza di uno scontro la cui posta sono il lavoro e le condizioni di vita delle masse lavoratrici. Di questa realtà si sono dovuti convincere i settori decisivi del movimento operaio, CGIL in testa. L’ineluttabile crisi dei rapporti tra il movimento sindacale ed il PD, un partito in cui le crepe sono sempre più evidenti, libera forze importanti per la ripresa della lotta del proletariato, di qualche importante settore dei ceti medi (insegnanti, pubblico impiego, ecc.), dei giovani e dei disoccupati. Naturalmente il movimento sociale sconta trent’anni di inerzia e di codismo del movimento operaio, che ha coperto le politiche di destra del PD, ciò non toglie, tuttavia, il valore eccezionale del suo risveglio ad una lotta che sarà inarrestabile, anche se ci vorranno tempo e tanta determinazione per portare a casa dei risultati.
Buon giorno FIOM, ben ritrovata CGIL, ora la sinistra di classe deve giocare le sue carte, in primo luogo chiarendo al proletariato le vere cause della crisi economica e gli immondi giochi che si sviluppano alle sue spalle.

Nessun commento:

Posta un commento