Gramsci

Gramsci

giovedì 21 novembre 2013

Le elezioni cilene


L'esito politico delle elezioni in Cile deve far riflettere l'intero movimento comunista internazionale. In special modo dovranno maggiormente prestare attenzione a ciò che è avvenuto in Cile.
In Italia il movimento comunista non gode di ottima salute. I numerosi e piccoli partiti comunisti non riescono ancora a trovare l'unità. Unità fondamentale per raggiungere l'obiettivo di poter dare voce ai più deboli.
In Cile il Partito Comunista Cileno è tornato in Parlamento alleato alla coalizione della Bachelet. Questa è stata una scelta strategicamente valida.
Fino a quando in Italia saranno in molti a rivendicare la vera identità del loro personale partito comunista non saranno molte le possibilità di raggiungere i traguardi dei comunisti cileni.
Ciò che a noi del PdCI sta a cuore è l'unità dei comunisti. Unità ed autonomia sono per noi due concetti fondamentali per un Partito Comunista.
Il Partito Comunista Cileno ha messo in pratica questo semplicissimo principio.

lunedì 18 novembre 2013

PLENUM DEL PCC: HA DAVVERO TRIONFATO IL MERCATO?


di Diego Angelo Bertozzi 

Trascorsi alcuni giorni dalla chiusura del terzo Plenum del Partito comunista cinese – che si è svolto dal 9 al 12 novembre a Pechino – possiamo con una certa tranquillità trarre alcune conclusioni, probabilmente un poco controcorrente. Già perché quasi ovunque – da destra come a sinistra – si legge che nel “conclave rosso” si sarebbe celebrato il trionfo del libero mercato. Per la destra si tratta dell’ulteriore dimostrazione della superiorità del modello capitalista nei confronti di quello socialista, per la sinistra (anche radicale), invece, si è consumato l’ennesimo atto del tradimento cinese ai danni della causa del socialismo. È andata veramente così? Se la quasi totalità della stampa italiana mostra un consenso unanime, così non avviene se ci spostiamo oltre i nostri confini. Prendiamo ad esempio il Wall Street Journal che, riportando i dubbi di molti economisti, definisce “contraddittorio” il pacchetto economico approvato: certo, c’è la sottolineatura del ruolo decisivo del libero mercato, ma resta l’onnipresente presa del Partito comunista e, con un certo disappunto, il “ruolo dell’economia statale” in settori strategici come quello dell’energia, delle infrastrutture e delle telecomunicazioni (oltre che in quello bancario).
E poi sembra davvero infastidire il fatto che nei comunicati ufficiali non si parli mai esplicitamente di “settore privato”, ma solamente di “economia non pubblica”, quasi a sottolineare la subordinazione del primo1. C’è inoltre il cinese Caixin – influente quotidiano economico e finanziario – che fin dal titolo chiarisce come il “ruolo delle aziende di stato non sia cambiato”, deludendo le aspettative di molti2.
Veniamo ora alle indicazioni emerse dal Plenum, soffermandoci su innovazioni anche in campo amministrativo e di governo. Nell’ambito del “socialismo di carattere cinese”, e in una lunga fase che viene confermata come “primo stadio nella costruzione del socialismo”, al mercato viene ora riconosciuto un ruolo “decisivo” – fino ad oggi era classificato come “fondamentale” – nell’allocazione delle risorse come quello svolto dal settore pubblico. Quest’ultimo, al contempo, continuerà ad esercitare un ruolo di primo piano e dovrà vedere la crescita della propria influenza nell’economia cinese tutta, mentre alle autorità spetterà il compito di “sviluppare la proprietà collettiva”. A tutto il composito universo del “settore non pubblico” – che comprende anche un florido segmento cooperativo (il 20% circa della forza lavoro cinese) che non può certo essere liquidato come capitalista – il governo cinese promette misure per incoraggiare e sostenerne sviluppo, vitalità e creatività, anche al fine di rendere più competitivo il segmento statale. Certamente la “il ruolo decisivo” attribuito al mercato si configura come una innovazione teorica che probabilmente – così è sempre stato dall’avvio della politica di riforma e apertura – riceverà anche una sanzione costituzionale.
Quanto alle aziende statali, pare che, rispetto alle aspettative, sia stato partorito il classico topolino: nessuna rottura dei monopoli, ma solo indicazioni di misure volte più a migliorarne la gestione e incentivare l’efficienza. Ai privati – e questa sembra essere l’unica certezza – sarà concessa la possibilità di acquisire quote fino ad un massimo del 15%. Ma nulla è ancora chiaro sulle modalità di questa presunta scalata privata. Trionfo del libero mercato? Ad oggi non pare proprio. Semmai ci troviamo di fronte al riconoscimento della sua importanza in un contesto sempre dominato dalla proprietà collettiva e dal potere regolatore e di intervento dello Stato (piani quinquennali), quindi – vale la pena ricordarlo – del Partito comunista al potere. Così, ad esempio, ha commentato la Reuters: “il partito ha chiarito di non avere alcuna intenzione di ridurre radicalmente il ruolo dello Stato nell’economia”3.
Il ruolo del Pcc sembra inoltre uscire rafforzato con la costituzione di un “gruppo di lavoro di alto livello” – che non risponderà al governo – che dovrà guidare, da qui al 2020, il nuovo cammino di riforme. Una posizione centrale, quindi, che rafforza più di tutto il potere dell’attuale dirigenza.
Altra novità emersa dal Plenum è quella rappresentata dalla costituzione di un “Comitato per la sicurezza nazionale” che avrà il compito di “perfezionare il sistema di sicurezza nazionale, la strategia di sicurezza nazionale e la salvaguardia della sicurezza internazionale”. Decisione che invia chiari segnali. Innanzitutto la Cina popolare riconosce in questo modo il proprio ruolo di superpotenza politica ed economica sullo scenario internazionale (una struttura simile è quella della NSA statunitense), dotandosi di un organismo che, riunendo diplomatici, militari, esperti di intelligence e di finanza, dovrà dare unità in un settore che rischiava di essere troppo frammentario. Inoltre è possibile che questo passo – che viene dopo l’attentato di piazza Tienanmen e delle sedi del partito a Taiyuan – rifletta la preoccupazione di aumenti delle tensioni internazionali (dispute di sovranità nel Mar cinese meridionale e con il Giappone, “Pivot to Asia” e politica di accerchiamento degli Usa, sicurezza informatica) e interne (terrorismo e movimenti indipendentisti in Tibet come in Xinjiang). Un passo ulteriore per il consolidamento della direzione politica e strategica del Partito comunista: l’organo in via di costituzione risponderà direttamente alla Presidenza della Repubblica popolare. Quindi, nuovamente, al Partito comunista del quale il presidente è segretario in un contesto di leadership collettiva.
Nel frattempo prosegue, nel campo dei diritti civili, la progressiva uscita della Repubblica popolare cinese dallo “stato di eccezione”: nel Plenum è stata infatti presa la storica decisione di abolire il sistema del “laojiao”, vale a dire la pratica della rieducazione attraverso il lavoro, introdotta nel 1957. Inoltre sarà ridotto anche il numero dei reati punibili con la pena di morte. Sempre nel campo dei diritti civili, si è stabilito il progressivo abbandono della politica del figlio unico, consentendo alle coppie, in cui uno dei due genitori è figlio unico, di avere più di un bambino.

sabato 9 novembre 2013

I comunisti e l'Ottobre sovietico

tessera del PCI del 1967
Il 07 novembre è ricorso l'anniversario della Rivoluzione d'Ottobre. Una data storica per i comunisti ed i progressisti di tutto il mondo.
Ciò che a noi del PdCI sta a cuore è provare che il nostro attaccamento a questo storico evento non si basa su romantiche nostalgie, ma sulla convinzione che le istanze di base di quella Rivoluzione siano ancora giuste.
Il mondo di oggi non è lontanamente paragonabile alla Russia del 1917. Una cosa è rimasta immutata nel tempo, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ovviamente sotto altre forme.
Questo basta per affermare l'attualità delle idee che animarono la Rivoluzione d'Ottobre. Idee che i comunisti di oggi devono portare avanti e distinguerle dai nuovi populismi che riempiono le piazze italiane.
L'Ottobre ha consegnato alla storia dell'umanità il più grande tentativo di creare un autentico Governo del popolo.
L'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ha permesso ad un popolo di sperimentare e pensare un alternativo modello di società.
Una società più giusta in cui tutti potessero avere un lavoro, una casa e un sistema sanitario universalistico.
Una società in cui la cultura era per e del popolo. Non vi erano distinzioni tra uomini e donne. Il sapere e l'istruzione erano un diritto.
Quel tentativo implose politicamente nel 1989. Molti furono gli errori della classe politica sovietica. Molti di loro passarono dal PCUS all'anticomunismo più violento.
Noi crediamo che nel mondo ci sia ancora bisogno di comunismo. L'Ottobre vive nelle nostre lotte e nella nostra militanza.
W l'Ottobre sovietico!!!

domenica 3 novembre 2013

Il PdCI e l'Amministrazione Ugetti

il nostro Partito nel lodigiano. Lavorare per portare le istanze dei comunisti nei luoghi deputati alle scelte che incidono sul futuro dei cittadini della provincia di Lodi. Anche se fuori dal Palazzo, il PdCI del lodigiano crede fermamente nel mantenere vivo il rapporto con l'attuale amministrazione comunale. I comunisti sanno da che parte stare.

sabato 2 novembre 2013

Per le scuole private i soldi si trovano

Pubblichiamo un importante articolo da "il manifesto" del 31/09/2013.

- Roberto Ciccarelli

La Commissione Europea ribadisce il concetto: la spesa pubblica italiana per l'istruzione è una delle più basse d'Europa, soprattutto per quanto riguarda l'università: il 4,2 per cento del Pil a fronte del 5,3 per cento di media Ue. Il dato è ormai conosciuto, come quello sull'abbandono scolastico. L'Italia è infatti quartultima in Europa, anche se il Ministero dell'Istruzione sostiene che i giovani tra i 18 e i 20 anni che hanno abbandonato prematuramente gli studi sono scesi di 29mila unità rispetto al 2011: nel 2012 erano 758 mila. Il fenomeno è drammatico al sud, con punte del 25% in Sardegna e Sicilia. Per quanto riguarda i laureati tra i 30 e i 34 anni, sostiene la Commissione Ue, pur essendo cresciuta al 21,7 per cento nel 2012 dal 19 per cento del 2009, resta lontana dal 35,7% della media continentale. L'invito è sempre lo stesso: aumentare i fondi, bloccare gli abbandoni, investire sulla formazione «terziaria» (cioè quella dei laureati) e valorizzare gli insegnanti. 
In questo contesto si sta discutendo alla Camera sul decreto Istruzione. Il decreto dev'essere approvato entro l'11 novembre, e deve ancora passare al Senato, ma la discussione ieri si è arrestata perché nelle larghe intese non c'è intesa sul reperimento delle risorse. Il governo vorrebbe prendere una buona parte dei 400 milioni necessari per assumere 69 docenti e personale Ata, e 26 mila insegnanti di sostegno, aumentando le accise sugli alcolici. Per protesta il relatore del provvedimento, Giancarlo Galan (Pdl) si è dimesso. La Commissione Bilancio ha inoltre trovato ben 25 incongruità economico-finanziarie.
La difficoltà a reperire risorse, che nelle intenzioni del governo dovrebbero segnare un'inversione di tendenza dopo anni di tagli alla scuola, non ha tuttavia impedito di rifinanziare parzialmente il fondo per le scuole paritarie. La legge di stabilità stanzierà 220 milioni per il 2014 a parziale compensazione della riduzione di 277 milioni di euro prevista dalla legge triennale di programmazione. Questo stanziamento dev'essere sommato ai 260 milioni di euro già stanziati nel 2013, per un totale di 480 milioni di euro. Una cifra che conferma la riduzione costante dei finanziamenti pubblici dal 2001, quando erano pari a 539 milioni di euro, e non soddisferà le organizzazioni degli istituti paritari che protestano da mesi, chiedendo di affrontare anche il nodo del pagamento dell'Imu e Tarsu. 
Il governo le ha comunque ascoltate, sollevando la protesta di chi crede invece che i fondi pubblici non devono andare alle paritarie, tra le quali ci sono anche molti istituti privati e confessionali. «È un atto di cecità politica e asservimento agli interessi privati - spiega il coordinatore Uds Roberto Campanelli - Per risolvere definitivamente questa situazione riteniamo necessaria la modifica della legge 62 del 2000 paritari, ndr.] con la separazione tra scuole private e scuole pubbliche non statali». Gli studenti saranno in piazza il 15 novembre.
La legge di stabilità non prepara un futuro migliore alla scuola pubblica. Gli stipendi sono stati bloccati per i prossimi due anni. Lo conferma il regolamento approvato ad agosto dal Consiglio dei Ministri. Questo blocco peggiorerà le condizioni del personale che, secondo una stima dei sindacati, ha perso almeno 3500 euro in virtù di un blocco che dura dal 2010. «Il potere d'acquisto è tornato indietro di 24 anni - conferma Marcello Pacifico dell'Anief - la PA ha perso 300 mila posti di lavoro in sei anni». In queste condizioni, sembra difficile accogliere l'invito della Commissione Ue a valorizzare la figura degli insegnanti. Motivo in più per alimentare lo scontro con i sindacati della scuola che hanno indetto una manifestazione nazionale il 30 novembre e parlano di uno sciopero generale contro il governo.
«Piuttosto che rifinanziare la cassa integrazione o sostenere la scuola pubblica - afferma Massimo Mari, responsabile per le scuole non statali Flc-Cgil - si continua a bloccare il turn-over». In compenso la manovra prevederebbe 150 milioni per gli atenei e 400 milioni per la ricerca tramite il 5 per mille.
Altro fronte che riguarda il lavoro della conoscenza, e il pubblico impiego, è quello aperto dall'approvazione del Decreto D'Alia l'altro ieri in Senato. Il ministro ha confermato le peggiori previsioni dei sindacati e dei precari. Ai precari che hanno lavorato per la PA per tre anni nell'ultimo quinquennio saranno prorogati i contratti in scadenza e sarà permesso di partecipare ai concorsi per la quota del 50%. Per gli altri non ci sarà rinnovo. Si tratterebbe di 80 mila persone. Tra i più colpiti gli enti di ricerca da tempo in mobilitazione.
 

Contro la legge di stabilità!

In Italia lo scenario politico è desolante. Assistiamo ogni giorno a vergognose farse di Palazzo mascherata da buone azioni politiche per difendere le fasce più deboli della società.
Dalla nascita del Governo Letta (PD-PdL-Scelta Civica) pare evidente come in Italia le forze moderate e conservatrici si stanno muovendo per riportare nello scenario politico italiano il ritorno della vecchia Balena bianca, la mai defunta Democrazia Cristiana.
Già da tempo forze politiche interne ai maggiori partiti italiani (Partito Democratico e Popolo della Libertà/Forza Italia) stanno trovando il modo di mettere a tacere politicamente le parti meno moderate de due partiti. 
L'obiettivo è chiaro. Rifondare in Italia la sezione del Partito Popolare. Il patto di stabilità non è che la prosecuzione delle politiche del Governo Monti. 
Le forze reazionarie e conservatrici si stanno organizzando per distruggere ciò che è rimasto delle conquiste sociali ottenuto con anni di lotte.
Tutto ciò da ancora più forza a ciò che il nostro Partito ha ribadito all'ultimo Congresso nazionale di Chianciano. 
Solo una forte sinistra sociale, radicata e comunista può essere un argine all'opera di restaurazione iniziata dai Governi Monti-Letta-Alfano.